Intervista al Praticante

Venerdì sera di qualche mese fa.
Un mio caro amico, mentre mi avvisa che a Studio da lui stanno cercando praticanti, mi domanda: “A te dicono mai che sei bravo? ” – Io, con la fermezza che mi contraddistingue, ovviamente gli ho risposto: “Non lo so”.

Poi martedì all’Unep, una ragazza, dopo avermi guardato male per non avere l’iPhone, prima, e l’applicazione “4codici Utet”, dopo, mi ha chiesto: “A te dicono mai che sei forte? a me dicono che scrivo come un carabiniere” – Anche in questo caso ho risposto: “Non lo so”.

Cioè, come si fa a rispondere diversamente? Non è un po’ come se ti chiedessero se sei bravo a letto? Non è che puoi dire che sei bravo. Te lo dovrebbe dire Lei. Però è anche vero che quando te lo dice Lei, hai sempre la sensazione che sia una bugia. A me quando uno è davvero bravo (fosse avvocato, fosse pittore, fosse Rocco Siffredi) mica mi viene da dirgli che è bravo. Al massimo sto zitto e faccio un gesto di approvazione. Sarebbe altrimenti tautologico ed irrispettoso e, nondimeno, si potrebbe credere o 1) che lo voglio incoraggiare o 2) ancor peggio, che l’avevo sottovalutato.
Alla fine è proprio come con una ragazza, se è vero che Ti ama o ti apprezza lo capisci dal fatto che ti tiene con te. Perché se ti tiene, vuol dire che se proprio non le piaci, quantomeno le servi (cosa non da poco, dato che miliardi di matrimoni si sono basati su tali presupposti).

Ad esempio, a me Pierpaolo non mi ha mai detto “sei forte” o “scrivi bene”. Al massimo, una volta, mi ha detto: “Tu sei come Savicevic, ogni tanto te ne esci con una genialata, però quando non sei in partita non ti si vede proprio…” –  C’è poco da fare, quando con le persone ci lavori tanto insieme o ci fai sesso, ad un certo punto è come se queste divenissero improvvisamente dei sensitivi. E finisce che ti dicono qualcosa di troppo vero, manco fossero Paolo Fox.

Parafrasando Bobbio, lo strano fenomeno per il quale io dovrei/potrei amare il lavoro che faccio (quello del Praticante), in fondo mostra il suo essere radicato attorno a “quel che manca”; esattamente come nell’amore l’altro è amato non tanto per quel che è, ma principalmente per quello che può essere e che nel presente “manca” di essere.
Quando il barista di via Lepanto, che ne ha viste tante, ti consiglia di lasciar perdere, e si chiede perché sti cretini (me compreso) continuino a provarci. Lui, in realtà, non vuole che Tu gli risponda dandogli ragione, altrimenti, per tale via, uccideresti (come avviene tutti i giorni) la speranza che uno senza padre avvocato ce la possa fare. Perché, dopo tutto “in ogni domanda è ugualmente contenuto che il soggetto non vuole che essa sia soddisfatta” da una risposta totale, capace di estinguere il desiderio di domandare.

Quindi la domanda “sei forte in quello che fai?” è una domanda del cazzo, ma che va un casino tra i Praticanti, perché tutti desideriamo di rivedere nel dominus una persona non per forza “migliore”, ma una persona che almeno ti guardi in maniera diversa dagli altri, perché in te ci crede, proprio come alle medie faceva il professore di educazione tecnica.

Concludendo, scrivo una cosa che volevo scrivere sulla mia Tesi di Laurea, ma che un’assistente tettona mi consigliò (anche giustamente) di non inserire. La frase era questa:

Il Legislatore comunitario (in questo caso invece il dominus) è come un pittore impressionista, in quanto il significato vero del suo agire non si rintraccia in ciò che è esplicito, ma nelle sfumature”.

Il  Praticante#1